Tecniche di produzione. Rosati e uva a bacca rossa o bianca

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Parlare di lavorazione delle uve significa quasi entrare nella cantina e provare a visualizzare tutto il percorso produttivo, di cui il primo tassello consiste nell’arrivo dei camion carichi di grappoli. Questi vengono pesati direttamente, quindi catalogati; ogni carico di uva ha il suo codice a barre, in modo che, tramite quest’ultimo riportato sulle bottiglie, si possa risalire allo scarico d’uva iniziale e persino agli operai di turno durante quella giornata.

Il trattore è pesato, scarica l’uva nelle vasche e torna nei vigneti; nelle vasche ci sono una o due eliche che girano lentamente, per spingere l’uva dalla vasca ai deraspatori, siti più in basso. La loro funzione è appunto quella di deraspare le uve, quindi togliere il raspo, la parte legnosa (anche se gran parte del lavoro, in tal senso, è svolta dalle macchine vendemmiatrici nei campi, che aspirano il solo chicco d’uva, mentre il raspo resta sulla pianta ed è eliminato con la potatura a secco).

I deraspatori schiacciano l’uva e, a questo punto, la produzione si diversifica, a seconda che si tratti di uva a bacca bianca o a bacca rossa. Nel primo caso, il mosto è subito separato dalle bucce e viene trasferito, per la fermentazione, in silos più grandi. Nel secondo caso, al contrario, buccia, polpa e mosto vanno a finire, insieme, in vinificatori esterni, ognuno dei quali è computerizzato singolarmente e la cui temperatura è impostata manualmente dall’enologo.

Il passaggio dalla temperatura ambiente a quella impostata nei silos avviene tramite scambiatore: un passaggio repentino di temperatura, infatti, è assolutamente da scongiurare, giacché congelerebbe direttamente i batteri utili alla fermentazione, ottenendo un prodotto di scarsa qualità.

Al di sotto dei vinificatori, sono site delle pompe che possono intervenire per il rimostaggio del cappello superiore, aspirando parte del mosto e facendolo precipitare ed evitando così il processo che avviene nelle cantine non meccanizzate, ove l’operatore schiaccia manualmente il cappello.

Il processo che si utilizza per ottenere il rosato, infine, è ancora più particolare: si fa ricorso alla cosiddetta “tecnica del salasso”, in base alla quale il mosto è a contatto con le uve solo per 12 ore, quindi viene salassato solo nella parte centrale, quella che ha preso maggiormente colore.

 

Chiara Sorino

Le aziende a km zero. Come conciliare meccanizzazione della produzione e qualità del prodotto

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Sono oramai numerose le aziende italiane che puntano sulla qualità, pur non rinunciando alla competitività e ai benefit della meccanizzazione. Avviene anche nel settore vinicolo ove, soprattutto nel Meridione, si utilizzano macchinari italiani, ma non solo: il must è divenuto valorizzare il territorio, quindi anche dare lavoro, per quanto sia possibile, a gente del posto.

E questo vale per tutto l’iter produttivo, sino ad arrivare alle bottiglie e alle etichette: se l’ottima qualità che si ricerca viene riscontrata in aziende della stessa regione o provincia in cui è sita la cantina, quest’ultima predilige i rapporti quasi “a km zero”, in modo tale da incrementare l’economia locale.

Non solo” made in Italy”, ma soprattutto “made nel proprio territorio d’origine”!

 

Chiara Sorino

Dalla vite al vino. I segreti delle tradizioni locali

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La stagione del vino inizia a novembre, con la potatura a secco dei vigneti; quindi si procede con la potatura verde, ad aprile. In seguito, la scena è tutta per la vendemmia, che in genere parte dalla metà di agosto e prosegue sino alla prima settimana di ottobre, rispettando sempre i tempi di produzione e le tipologie delle uve.

E’ importante, per la resa, che siano impiantati dei vitigni autoctoni. Un esempio in tal senso è dato dalle cantine del Saltento, in Puglia, ove come vitigni rossi si impiantano negramaro, primitivo e malvasia nera di Lecce; come bianchi, i più diffusi sono la verdeca e il fiano.

I vigneti vicini al mare, come quelli del brindisino, inoltre, hanno una morfologia di terreno sabbiosa e conferiscono alle uve sapidità e mineralità totalmente differenti  rispetto ai prodotti che crescono in vigneti dell’entroterra.

I venti e le brezze locali, per di più, hanno importanza fondamentale in quanto “pettinano” i vigneti, conferendo ossigenazione e pulizia naturale da muffe e batteri. E’ quindi fondamentale selezionare la localizzazione e la direzione dei vigneti al momento dell’impianto, come situare la produzione accanto ai boschi, polmone verde anche per la vite.

Il lavoro dell’uomo, poi, pur importantissimo e costante, procede di pari passo alla meccanizzazione, che è divenuta in breve tempo un tassello fondamentale della produzione, ad incominciare dalla vendemmia. Quest’ultima, a seconda delle linee di produzione, si può attuare solo con le macchine, per la produzione destinata ai supermercati, o esclusivamente a mano, in cassetta, per la prima scelta che costituirà il nerbo della produzione di pregio.

La meccanizzazione, poi, consente di attuare anche la vendemmia notturna: si inizia dalle 22 e si procede sino alle prime ore del mattino. Per la vendemmia manuale, invece, non si può che operare di giorno, dalle 5 alle 9 del mattino, prima che i raggi del sole rendano impossibile il lavoro e facciano pre-fermentare eccessivamente l’uva direttamente sulla pianta.

Gli impianti sono generalmente tutti a temperatura controllata e, ove possibile, alimentati da pannelli solari, in modo da avvicinarsi al modello di cantina a impatto zero a livello ambientale.

 

Chiara Sorino

Tecnologia in cantina. Da centinaia di lavoratori a una decina di tecnici

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Com’è possibile che le più grandi cantine, quelle vocate all’export, non impieghino più numerosissimi operai, quasi la gran parte della popolazione dei paesi in cui sorgono – come accadeva in passato – ma all’incirca una decina di persone?

La spiegazione è a portata di mano, o meglio a portata di clic: in un mondo hi-tech e nell’era dei nativi digitali, la tecnologia non poteva non rivoluzionare anche il mondo della produzione del vino, nonostante la tradizione millenaria della sua produzione.

Le cantine più “tecnologiche”, infatti, impiegano all’incirca una decina di persone che, più che definire “operai”, sarebbe più opportuno chiamare “tecnici”.

La nuova frontiera della produzione vede silos in metallo, in grado di conservare il vino a temperatura costante o, grazie ad appositi meccanismi regolati da termometri, in grado di modificarla. Delle serpentine, inoltre, conducono la prima mistura derivante dalle uve direttamente nei sopra citati silos, per rendere un continuum il percorso che conosce il suo primo step nei vasconi in cui i camion scaricano i grappoli, che vengono spremuti e separati dai rimasugli inutilizzabili.

Si può parlare di “rivoluzione industriale” anche nel campo della produzione enologica? Noi crediamo senza dubbio che la risposta sia affermativa e che oramai tutti i settori produttivi debbano stare al passo con le nuove tecnologie, ma senza dimenticare le tradizioni, i sapori e gli odori di un vino che non può non rispecchiare la storia e la terra del luogo natio.

Che cos’è la viticoltura

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Per comprendere l’origine del vino è necessario conoscere le caratteristiche della pianta da cui esso ha origine: la vite.

La vite (dal latino “vite”, derivato dall’indoeuropeo viere = curvare, intrecciare) è un arbusto rampicante, diffuso in vaste aree del nostro pianeta comprese tra il 20° e 50° grado di latitudine Nord e il 20° e 40° di latitudine Sud. E’ una pianta molto resistente, in grado di resistere fino a 15°C sotto zero in inverno, ma che predilige temperature comprese fra 8° e 13°C per il germogliamento, fra 16 e 20°C per la fioritura e fra 18°C e 23°C per la maturazione. Predilige i terreni calcari, preferibilmente ben drenati, e una buona esposizione al sole. Teme le avversità atmosferiche soprattutto la grandine e le gelate nel periodo della fioritura in quanto distruggono le gemme e i fiori impedendo la formazione dei frutti e danneggiando talvolta anche il raccolto dell’anno successivo. L’umidità nella fase di maturazione dell’uva favorisce l’insorgere di malattie quali il marciume e la muffa grigia o botrite che causano la rapida alterazione del vino. Teme alcuni parassiti vegetali quali l’Oidio e la Peronospera che vengono combattuti con trattamenti preventivi a base di zolfo (per l’Oidio) e rame (per la Peronospera). Tra i parassiti animali il più temuto è la Fillossera.

Vino: storia e leggenda

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Le origini del vino sono talmente tanto antiche da affondare nella leggenda. Alcune di esse fanno risalire l'origine della vite sino ad Adamo ed Eva, affermando che il frutto proibito del Paradiso terrestre fosse la succulenta Uva e non l'anonima Mela. Altre raccontano di Noè che avendo inventato il Vino pensò bene di salvare la Vite dal diluvio universale riservandole un posto sicuro nella sua Arca.

Venendo a tempi più recenti, sono in molti ad affermare che la vite sia originaria dell'India, e che da qui, nel terzo millennio a.C., si sia diffusa prima in Asia e in seguito nel bacino del Mediterraneo.

E' storia che in occidente la coltura della vite e la pratica della vinificazione erano note in Armenia (la Mesopotamia). Qui si compì la prima rivoluzione dell'umanità, con l'abbandono del nomadismo da parte di qualche comunità e la conseguente nascita dell'agricoltura. E' la "mezzaluna fertile" una area geografica limitrofa al corso dei fiumi Tigri ed Eufrate, madre dei cereali e laboratorio della scoperta dei processi fermentativi da cui discendono il pane, il formaggio e le bevande euforizzanti, così come noi le conosciamo oggi.

Alcuni geroglifici egiziani risalenti al 2500 a.C. descrivono già vari tipi di vino. Nell'antico Egitto la pratica della vinificazione era talmente consolidata che nel corredo funebre del re Tutankamon (1339 a.C.) erano incluse delle anfore contenenti vino con riportata la zona di provenienza, l'annata e il produttore (delle DOC ante litteram!); qualcuna conteneva del vino invecchiato da parecchi anni. 

Dall'Egitto la pratica della vinificazione si diffuse presso gli Ebrei, gli Arabi e i Greci. Questi dedicarono al vino una divinità: Dionisio, Dio della convivialità.

Contemporaneamente, nel cuore del mediterraneo, la vite iniziava dalla Sicilia il suo viaggio verso l' Europa, diffondendosi prima presso i Sabini e poi presso gli Etruschi i quali divenirono abili coltivatori e vinificatori e allargarono la coltivazione dell'uva dalla Campania sino alla pianura Padana.

Presso gli antichi Romani la vinificazione assunse notevole importanza solo dopo la conquista della Grecia. L'iniziale distacco si tramutò in grande amore al punto da inserire Bacco nel novero degli Dei e da farsi promotori della diffusione della viticoltura in tutte le province dell'impero. Dal canto suo il  vino ha contribuito alla nascita dell'impero romano: i Romani infatti erano a conoscenza delle proprietà battericida  del vino e come consuetudine lo portavano nelle loro campagne come bevanda dei legionari. Plutarco racconta che Cesare distribuì vino ai suoi soldati per debellare una malattia che stava decimando l'esercito.

La nascita del Cristianesimo e il conseguente declino dell'Impero Romano, segna l'inizio di un periodo buio per il vino, accusato di portare ebbrezza e piacere effimero. A ciò si aggiunse la diffusione dell'Islamismo nel Mediterraneo tra l'ottocento e il millequattrocento d.C. con la messa al bando della viticoltura in tutti i territori occupati. Per contro furono proprio i monaci di quel periodo, assieme alle comunità ebraiche, a continuare, quasi in maniera clandestina la viticoltura e la pratica della vinificazione per produrre i vini da usare nei riti religiosi.

Bisognerà comunque attendere il Rinascimento per ritrovare una letteratura che restituisca al vino il suo ruolo di protagonista della cultura occidentale e che torni a decantarne le qualità. Nel diciassettesimo secolo si affinò l'arte dei bottai, divennero meno costose le bottiglie e si diffusero i tappi di sughero tutto ciò contribuì alla conservazione e al trasporto del vino favorendone il commercio.

Il diciannovesimo secolo vede consolidarsi la distintiva e straordinaria posizione che il vino occupa nella civiltà occidentale. Alla tradizione contadina inizia ad affiancarsi il contributo di illustri studiosi che si adoperano per la realizzazione di vini di sempre miglior qualità e bontà.  Il vino diviene oggetto di ricerca scientifica. Nel 1866 L. Pasteur nel suo scritto Etudes sur le vin afferma "il vino è la più salutare ed igienica di tutte le bevande".

Recenti studi medici hanno dimostrato che fra coloro che si recano in viaggio nei paesi in cui sono frequenti le infezioni alimentari i turisti che consumano vino sono meno soggetti ad attacchi di dissenteria rispetto a coloro che consumano acqua anche se imbottigliata. E questo perché a prescindere dalle cause della contaminazione, molti batteri in acqua sopravvivono e a volte prolificano mentre nel vino muoiono per via di alcune caratteristiche concomitanti quali l'acidità la presenza di alcol e di tannini. Per di più queste stesse caratteristiche rendono il vino una bevanda salutare per l'uomo a condizione che venga assunta in quantità moderate (un bicchiere a pasto). Studi medici dimostrano che un moderato consumo di  vino ha effetti positivi sul sistema cardiovascolare riducendo i rischi di malattie cardiache. La ragione non è ancora del tutto chiara ma secondo alcuni ciò è dovuto alla presenza di piccole quantità di sostanze con proprietà ipocolesterinizzante che si originano dai tannini contenuti nei vini rossi.

Sono passati circa 150 anni dai primi studi di Pasteur e il tempo non lo ha ancora smentito: ad oggi non è mai stato isolato un agente patogeno per l'uomo che si origini dal vino.

L’ultima nata in casa DOC

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A due anni dalla richiesta, è stato approvata la DOC al vino bianco secco Antina Semillon, che prevede nel suo disciplinare 85 per cento di uva Semillon e 15 per cento di altri vitigni a bacca bianca autorizzati nella Regione Lazio.

Vino tipico della Ciociaria, questa nuova denominazione si aggunge alle altre 26 doc e all’unica docg, il Cesanese del Piglio, della regione.

"Si tratta di un prodotto esclusivo che nasce anche grazie alla preziosa opera della famiglia Visocchi - spiega Paolo De Cesare, direttore della Coldiretti di Frosinone - il Semillon va a completare un'offerta gia' abbastanza consolidata oltre che gradita dai consumatori e dagli appassionati che sono certo potra' contribuire, da un lato allo sviluppo commerciale delle imprese, dall'altro all'affermazione del nostro territorio e dei nostri prodotti". "Se c'e' un settore che rappresenta al meglio la filiera agricola tutta locale- spiega De Cesare- quello e' senza dubbio il vino, che ha segnato un più 12% di export nel 2011, superando, unico caso nell'agroalimentare, il consumo interno". "L'aumento di export - prosegue De Cesare- e'generato soprattutto dalle piccole imprese (più 16%, contro il più 8,5% delle grandi). Terzo dato interessante: il 15% del vino viene venduto direttamente e rappresenta il 40% di tutta la vendita diretta, ovvero il 30% del vino italiano venduto in Italia".

E se diventassimo “sommelier” dell’olio d’oliva?

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L’associazione AMEDOO della Camera di Commercio di Bari e l’AIS Bari organizzano il nuovo corso per aspiranti assaggiatori di olio di oliva.

Un calendario di sette appuntamenti da febbraio a marzo, alla scoperta dell’”oro liquido”, per gli appassionati della degustazione, per chi ha da sempre voluto saperne di più.

Antico di seimila anni l’olio di oliva è stato elemento prezioso delle grandi civiltà del passato. L’olio extra vergine di oliva, l’unico olio possibile, è tra gli ingredienti prìncipi della dieta mediterranea, ricco di antiossidanti naturali così importanti per il nostro benessere.

Testimoniata dalle sculture viventi sparse nelle campagne della nostra regione, la coltivazione millenaria dell’ulivo, tipicamente mediterranea, trova in Puglia l’ambiente ideale per una produzione di straordinaria qualità: l’olio extra vergine di oliva pugliese. La biodiversità delle nostre cultivar è il segreto della varietà e della ricchezza della produzione olearia pugliese.

Ma se il nostro olio avesse dei difetti o dei particolari pregi li sapremmo riconoscere? Sappiamo leggere le etichette? Sappiamo conservarlo nel modo corretto?

L’olio extravergine di oliva nasconde tali segreti di longevità  e bellezza che le ore di questo corso rappresentano un importante momento di arricchimento culturale e professionale. Imparerete a conoscere le proprietà dell’olio e la sua natura, a riconoscerne le qualità, le caratteristiche e diversità, acquisirete dimestichezza nelle tecniche di degustazione, conoscerete le sue proprietà benefiche che scoprirete fin dalla prima giornata insieme.